mercoledì 27 febbraio 2013

Elezioni politiche, un primo commento “a caldo”

Andrea Martini
beppegrilloI risultati giungono con lentezza, inframezzati da improbabili e inattendibiliistant poll, e si intrecciano con le norme farragginose e antidemocratiche di una legge elettorale fatta per conservare il potere e non per misurare lealmente e in modo trasparente la volontà delle elettrici e degli elettori.
Ma la valutazione sui risultati di fondo e sul quadro postlettorale si definisce con nettezza.
Il risultato sconfessa tutte le previsioni e gli auspici: la “macchina da guerra” di Bersani fallisce l’obiettivo e, ancora una volta, il disegno del PD di conquistare il governo approfittando di una presunta rottura tra i principali esponenti della classe dominante e il personale politico della destra berlusconiana si arena. E a restare fortemente delusi sono anche gli altri grandi attori della politica: i “mercati” e i tecnocrati della UE e della BCE che vedono con terrore la prospettiva di una grande ingovernabilità di un paese grande e cruciale come l’Italia. Certo, il loro uomo di riferimento in Italia era Monti, ma erano tutti consapevoli che Supermario avrebbe potuto al massimo giocare un ruolo di supporto e di condizionamento di un governo presieduto da Bersani. E invece, probabilmente, il parlamento resterà segnato in maniera determinante non solo dal successo di Grillo ma anche e soprattutto per loro dalla sconfitta e dal ridimensionamento del progetto centrista.
L’affermazione delle liste del Movimento 5 stelle, affermazione annunciata, ma non per questo meno eclatante e devastante per gli equilibri politici tra le forze tradizionali del mondo istituzionale italiano è certamente il dato di maggior risalto dei risultati delle elezioni del 24 e 25 febbraio. Il successo delle liste di Beppe Grillo manifesta in modo potente il dilagare del rifiuto popolare della politica della corruzione e dell’austerità, rifiuto in particolare giovanile, come risulta dalla differenza significativa tra la percentuale conseguita dal M5S alla Camera e quella al Senato. Il M5S diventa il primo partito in parecchie regioni. Si tratta di una sfida che l’elettorato fa a tutta la vecchia politica di centrosinistra, di destra, di centro e perfino di estrema sinistra, tutte penalizzate dal risultato massiccio delle liste di Grillo, oltre che dall’aumento dell’astensione.
Sì, perché anche il dato (ufficiale) dell’astensione è importante: il 25%, con una crescita del 5% rispetto al 2008. Mancano all’appello circa 10,8 milioni di elettori (1.800.000 in più del 2008), che evidentemente non hanno trovato motivi e convinzioni valide per andare a votare.
Al di là degli assestamenti dei dati in assoluto e in percentuale che potremo valutare solo domani e della partita, a quest’ora non del tutto definita, dell’attribuzione dei premi di maggioranza alla Camera e soprattutto nei vari collegi senatoriali, quanto successo assesta un colpo forse definitivo al sistema politico della cosiddetta “seconda repubblica” che, con l’alternanza del centrodestra e del centrosinistra al governo ha governato il paese negli ultimi venti anni.
Il risultato assolutamente deludente della lista Monti e della coalizione centrista pone, almeno per il momento, la parola fine al tentativo con il quale la borghesia italiana (e, dietro di lei, anche i potentati della UE) avevano cercato di costruire un’alternativa alla loro dipendenza dal binomio litigioso ma speculare PD – PdL. In ogni caso i numeri attribuiti alla “Scelta civica” del premier uscente costituiscono una drastica condanna della politica del suo governo fatta di controriforme, tagli, cancellazione di diritti, aumento delle tasse, disoccupazione e grandi opere inutili.
La vitalità di Berlusconi e della sua demagogia populista, anche grazie all’abile sganciamento dalla “grande coalizione” che ha sostenuto Monti fino a solo due mesi fa, e alla mossa della promessa della restituzione dell’IMU, e la sua vittoria nei collegi senatoriali della Lombardia, del Veneto, della Campania e della Sicilia rendono estremamente difficile la formazione di un governo che, fino alla settimana scorsa, tutti i commentatori davano per certo presieduto da Bersani, con il solo interrogativo della ipotesi dell’alleanza forzata con Monti e Casini. Si tratta di un risultato che, combinato con il grande successo del M5S, renderà ampiamente ingovernabile il parlamento.
Sia detto, comunque, che il “bipolarismo” conosce un deciso logoramento. Il PdL tra il 2008 e oggi dimezza sostanzialmente i voti, passando (dati senato) da 12,5 milioni a meno di 7, e altrettanto fa la Lega Nord, passando da 2,6 milioni a 1,3.
E il grande sconfitto di queste elezioni sembra essere quello che ne era il favorito, appunto fino a ieri, il PD, con la sua coalizione e l’ipotesi di un governo Bersani. Queste forze pagano con una evidente emorragia verso il M5S e verso la astensione la loro politica di sostegno convinto a tutte le misure antipopolari degli ultimi 13 mesi: Il PD perde al senato oltre 2,5 milioni di voti rispetto al 2008, senza nessuna compensazione con l’alleato SEL che, anche qui smentendo tutte le previsioni più ottimiste, conquista circa 900.000 voti e, dunque, non raggiunge neanche il risultato già disastroso della Sinistra Arcobaleno di cinque anni fa, anche se oggi, grazie alla alleanza con il PD, riuscirà a conseguire un congruo numero di parlamentari.
Sconfitto anche il tentativo di costruire con la lista “Rivoluzione civile” una zattera che avrebbe dovuto portare in parlamento una pattuglia di parlamentari dei partiti esclusi nel 2008 e/o non accettati nella coalizione attorno al PD nel 2013 (PRC, PdCI, IDV, Verdi). La lista Ingroia, infatti, non riesce ad eleggere nessun deputato e a fortiori nessun senatore. Il naufragio di questa zattera lascia solo detriti e rottami, per la esplicita volontà degli autori dell’operazione di non voler intraprendere una strada forse meno scontata ma più progettuale.
La sconfitta dei partiti dell’austerità e il disorientamento (almeno momentaneo dei “poteri forti”) faciliteranno o meno la ripresa dei movimenti? La fragilità del quadro istituzionale e la paura dell’ “Annibale alle porte” impersonato dal M5S probabilmente spingeranno gli apparati della Cgil e dei sindacati “complici” verso una ulteriore e secca moderazione delle rivendicazioni e delle lotte, anche se la situazione economica e gli orientamenti delle classi dominanti imporranno ulteriori aggressioni contro i diritti e le condizioni di vita degli strati popolari.
La costruzione perciò di lotte e movimenti resta quanto mai di attualità e, dopo il fallimento di ogni illusoria scorciatoia elettorale, diventa per tutte e tutti coloro che vogliono veramente opporsi alla austerità e alla sua devastazione sociale l’asse di lavoro centrale di ogni ripresa politica.
Andrea Martini