domenica 4 gennaio 2009

Rassegna stampa

-Intervista a Il Manifesto
di Alessandro Braga
SALTO NEL VOTO · Intervista al candidato presidente di Sinistra critica
Cattivi Maestri in provincia Un opposizione coerente

-Intervista
MilanoToday
Pietro Maestri: "Basta cemento a Milano e Provincia"
Pietro Maestri si concede in esclusiva a MilanoToday in vista delle elezioni provinciali. Forte il suo no ad altro cemento, autostrade ed inceneritori. Si ad una politica rispettosa dell'ambiente, dei migranti e delle donne...

-Intervista Portale AsseSempione.it

Tra i candidati alle prossime elezioni provinciali del 6-7 giugno 2009 c'è Pietro Maria Maestri, di Sinistra Critica Milano. Nato nel 1962 a Milano, dove abita, nel quartiere Bovisasca, si è laureato in scienze politiche...

- Intervista Milano Web
Piero Maestri: il leader di sinistra critica si svela a milanoweb
E intanto dà appuntamento ai suoi elettori per la manifestazione del 23 maggio...

- Articolo su Repubblica OnLine

Metrò riservato ai soli milanesi la tessera-provocazione di Sinistra Critica...

- La legge del taglione contro i richiedenti asilo

La denuncia arriva da Piero Maestri, consigliere provinciale di Milano di Sinistra Critica: la Commissione nazionale per il diritto d'asilo ha avviato il procedimento di revoca dello status di rifugiato politico per quattro migranti che, nelle scorse settimane si erano resi protagonisti di manifestazioni nel centro del capoluogo lombardo...

venerdì 2 gennaio 2009

PROGRAMMA ELETTORALE ELEZIONI PER LA PROVINCIA DI MILANO

6/7 GIUGNO 2009

L’esperienza della Giunta Penati e della maggioranza di centrosinistra è stata fallimentare considerata dal punto di vista di cittadini/e, lavoratori/trici, studenti/esse, pensionati/e.
Questa la conclusione a cui si arriva guardando ai 5 anni trascorsi dall’elezione di Filippo Penati alla presidenza della Provincia di Milano. Elezione che aveva suscitato aspettative e interesse, perché rompeva l’occupazione delle istituzioni milanesi da parte del centrodestra e perché portava al governo locale istanze e progetti di quella che si chiamava “sinistra radicale”.
Il fallimento è proprio della “sinistra”, che non è stata in grado di determinare le scelte politico-amministrative della maggioranza e ha dovuto subire – in maniera subalterna e accondiscendente – le scelte del presidente Penati. E non basterà il lavoro fatto dai singoli assessori di fronte alla scelte negative concesse (e a volte votate) al presidente Penati.
Per quest’ultimo non si può propriamente parlare di sconfitta, perché ha saputo forzare la mano della sua maggioranza e portare a casa quello che davvero gli importava, mostrando con evidenza le sua caratteristiche: accettazione delle regole affermate dai poteri economici, investimenti in gran parte nell’asfalto (autostrade!), scarsa propensione democratica (il Presidente decide, spesso anticipando le decisioni con esternazioni stampa), subalternità al “buon senso” padano para-razzista, sicuritarismo, sviluppismo affaristico (Expo2015, progetto di nuovi inceneritori e così via.
La sinistra già radicale, poi arcobaleno, poi divisa e litigiosa ha progressivamente perso ogni capacità di contrasto alla “deriva” del centrosinistra di Penati, assecondandone fino a 15 giorni dalla fine del mandato politiche sbagliate e pericolose: dal “Fondo per la sicurezza” alla candidatura e alla gestione dello scempio “Expo 2015”; dalla moltiplicazione di opere autostradali prima contrastate (Tem, Brebemi, Pedemontana) alla scarsa difesa territoriale (con la riduzione di aree agricole nei comuni); dal Piano Rifiuti che prevede nuovi e più grandi inceneritori a fondi per il “welfare” che riproducono la logica dei buoni-famiglia, per pure finalità elettoralistiche. E alla mortificazione del consiglio, costretto a rincorrere dichiarazioni e progetti annunciati a mezzo stampa (e nemmeno discussi in maggioranza, spesso), mentre la partecipazione di cittadini e cittadine è stata ridotta a qualche incontro pubblico a metà mandato o a consulte inefficaci

Con questo centrosinistra - con l’idea stessa del centrosinistra – abbiamo rotto fin dall’inizio della nostra esperienza politica e nel Consiglio Provinciale, mentre la sinistra già radicale, a partire da Rifondazione Comunista - neppure resa edotta dal fallimento del governo Prodi - è rimasta al suo posto contribuendo ai danni politici, istituzionali e culturali prodotti da Penati e dal PD.
Per questo abbiamo scelto – coerentemente “in direzione ostinata e contraria” – di presentare una nostra lista alle elezioni provinciali. Una lista alternativa al centrodestra e al centrosinistra, non perché messi ai margini, ma perché questo è il nostro progetto e il nostro percorso.
Un percorso di rottura politica con il centrosinistra che abbiamo proposto anche ad altri soggetti della sinistra, ponendo alcune condizioni che questi soggetti non hanno voluto sottoscrivere: nessuna candidatura per assessori presenti nella Giunta Penati, dichiarazione immediata di non appoggio a Penati nel caso di ballottaggio, nostra conseguente scelta del candidato (in coerenza con quella rottura). Condizioni che non sono state accettate.

Ci presentiamo alle elezioni provinciali con un programma breve ed essenziale, ma chiaro. Intendiamoci, non crediamo che scrivere un bel programma con roboanti frasi sull’alternativa e proposte formalmente radicali serva a molto: serve invece la determinazione con cui ci si colloca su un piano realmente alternativo e di opposizione alle politiche che il centrosinistra mutua dalle esigenze dei poteri forti.
Troppo spesso invece i programmi sono un inganno o una foglia di fico con cui nascondere accordi sottobanco, compromessi e inconfessabili progetti non compatibili con quanto si afferma.
Sinistra Critica si permette di definirsi “la sinistra che fa (e ha già fatto) quello che dice” perché ha dimostrato in questi mesi la sua coerenza e il rispetto per i principi e per gli interessi sociali che vuole difendere.
Le brevi note di programma servono a fornire una sorte di “carta d’identità” della nostra lista alle provinciali.

1. UN RIFERIMENTO NEL CONSIGLIO
Non siamo mai stati “elettoralisti” né, tantomeno, convinti che la più importante forma dell’impegno politico sia quello istituzionale. Crediamo in una presenza istituzionale come luogo utile per sostenere le lotte e le iniziative dal basso per la difesa degli interessi di lavoratrici e lavoratori, di giovani precari e non, delle/dei migranti, dei pensionati e di tutte/i le/i cittadine/i che cercano di difendere la qualità dell’ambiente e della socialità del loro territorio.
Parliamo in queste elezioni di “utilità” di una sinistra coerente proprio in questo senso: utile per portare nel “palazzo” la voce e le proposte di chi ne è escluso o in qualche modo subisce le politiche discriminatorie e negative.
Una lista, così come il ruolo di consigliere o di presidente della Provincia, non è un fine, bensì un mezzo. Non corriamo per conquistare il Palazzo, ma per sperimentare forme altre di autogoverno e autogestione. Vogliamo mettere in discussione il monopolio del potere decisionale fondato sulla delega: perché partecipare non solo è democrazia, ma è anche sperimentare una migliore qualità del vivere sociale.

2. PER UNA CITTA’ E UNA POLITICA METROPOLITANE
Queste elezioni provinciali risentono anche di un dibattito sulla proposta di “abolire le provincie” e sull’idea della costituzione della Città Metropolitana.
Siamo convinti che troppo spesso siano stati creati livelli istituzionali o enti para-pubblici inutili e clientelari, necessari alla moltiplicazione di Consigli di Amministrazione dove infilare politici falliti o clienti di vario tipo.
Non per questo ci accodiamo alla demagogia di chi ritiene superflue le Provincie perché in realtà ritiene un costo e una perdita di tempo la democrazia.
Milano ha bisogno della Città Metropolitana. Per rendere questo progetto di riordino istituzionale e territoriale una operazione realmente vicina alle comunità e nel loro interesse sono necessari però alcuni passaggi importanti: l’elezione diretta del Consiglio Metropolitano con liste di candidati, così come succede per tutti gli organismi di primo grado; la scomparsa del Comune di Milano così com’è e la trasformazione delle circoscrizioni in municipi, in una “rete” di municipi, che si rapporti per funzioni con gli altri municipi dell’hinterland; la previsione di risorse e compiti precisi, distinti e non sovrapposti, alla Città Metropolitana e ai nuovi Municipi.

3. IL LAVORO – LE LAVORATRICI E I LAVORATORI
Da che parte stiamo è facile scoprirlo. Negli stessi giorni in cui veniva approvata la retribuzione intorno ai 400 mila Euro all’anno per Lucio Stanca come amministratore delegato della società di gestione dell’Expo2015 (che sommerà ai suoi compensi da parlamentare), Sinistra Critica consegnava al Senato 70.000 firme di sottoscrittori per una proposta di legge di iniziativa popolare che istituisca un salario minimo intercategoriale di 1300 Euro (oltre che un salario sociale di 1000 euro, la restituzione del fiscal drag e la previsione di una nuova scala mobile).
In questo momento di crisi – ancora di più – con questi progetti concreti, difendiamo gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori dipendenti, delle/dei precari/e, delle/dei disoccupate/i.

Le province hanno importanti competenze in materia di mercato del lavoro e hanno subito in questi anni le politiche di progressivo affidamento ai privati di prerogative che devono tornare ai servizi pubblici (il “collocamento”). Vogliamo affermare la necessità di una riforma dei servizi al lavoro che torni a mettere al centro il servizio pubblico, sia per quanto riguarda il suo ruolo di sostegno ai disoccupati e ai giovani precari - partendo dalla generalizzata stabilizzazione dei contratti pubblici, nell’ente e nelle agenzie e aziende controllate e/o partecipate.
Sostegno al reddito di disoccupati e precari che può avvenire anche attraverso convenzioni tra Provincia e Banche per garantire loro l’accesso al credito e la costituzione di un Fondo Pubblico di Garanzia verso le banche affinché qualsiasi lavoratore colpito dalla crisi non rischi di perdere anche la casa; e ovviamente attraverso una riduzione delle tariffe di servizi pubblici o convenzioni per iniziative culturali (nulla a che fare con le “Carte giovani” o simili, generiche e senza attenzione ai diritti e alla realtà concreta di chi è senza reddito o lo percepisce in forma saltuaria).
Allo stesso modo la Provincia può stanziare risorse per favorire l’assunzione di cassintegrati e lavoratori in mobilità - invece che, come demagogicamente proposto dal presidente Penati, per inserirli nelle Questure – per attuare progetti di recupero sociale e ambientale del territorio e di promozione e controllo della sicurezza sui posti di lavoro.
Siamo dentro una crisi che trasformerà nel futuro le nostre vite. Crediamo che anche la Provincia si debba attivare per cercare risposte – anche parziali – alla sofferenze che i ceti sociali più deboli a cui si vogliono far pagare i costi della crisi al posto di quelli che l’hanno provocata (come ad esempio il sistema bancario ed i poteri forti).
Una particolare attenzione va riservata, tra le categorie deboli, a quei soggetti particolarmente vulnerabili costituiti dalle persone diversamente abili, tali dalla nascita o per inabilità acquisite in sede civile o professionale. Il diritto al lavoro di questi soggetti, garantito a parole da norme adeguate, viene sistematicamente negato, nella pratica quotidiana, da datori di lavoro insensibili e irrispettosi delle quote di occupazione obbligatoria riservate agli invalidi. Su questo terreno la Provincia deve esercitare opera di promozione e di necessario controllo, finalizzati al rispetto delle regole e, con queste, dei diritti all'occupazione di lavoratrici e lavoratori svantaggiati. Tali controlli dovranno essere effettuati direttamente dall'ente, ma anche attraverso la sensibilizzazione e il coordinamento con istituzioni (Ispettorato del Lavoro, ASL, INPS, INAIL...) preposte a diverse tipologie di ispezioni.


Politica del lavoro significa in primo luogo rispetto delle scelte dei dipendenti pubblici e relazioni sindacali corrette e trasparenti – riconoscendo alle Rsu elette la centralità nelle trattative.

La politica del lavoro deve essere sempre più integrata con quella della formazione professionale, orientata specialmente a garantire le esigenze occupazionali delle eccellenze lavorative stabili, prevedendo percorsi e passaggi consolidati per chi è in cerca di lavoro.
In queste direzioni devono essere utilizzate le risorse che nell’ultimo anno sono state distribuite in “voucher della carità” di evidente carattere elettorale, perché non prevedevano la garanzia di un diritto, ma la distribuzione a chi arrivava per primo.

4. ECONOMIA RESPONSABILE E SOLIDALE
La Provincia di Milano spende milioni di euro per il sostegno alle imprese, per l’innovazione e lo sviluppo – e partecipa ad agenzie territoriali che dovrebbero favorire queste direzioni.
Molto spesso queste agenzie sono solamente un’occasione per una moltiplicazione di posti nei CdA e una “fabbrica di progetti” fine a sé stessi, di nessun aiuto alle imprese. Oppure sono lo strumento per “regalare” soldi alle stesse imprese, senza chiedere loro in cambio una maggiore “responsabilità sociale” (non quella che fa moltiplicare i convegni, ma una reale trasparenza e rispetto delle regole) e soprattutto un rispetto rigoroso dei diritti di lavoratrici e lavoratori.

La Provincia che vogliamo – oltre a spingere le imprese a mantenere ed allargare la loro base occupazionale, limitare fino all’azzeramento l’utilizzo di contratti precari e rispettare i diritti dei lavoratori, dei consumatori, i diritti sociali e ambientali – deve favorire e sostenere il mondo dell’economia solidale, della finanza etica, del microcredito e le mille esperienze metropolitane di riconversione ambientale e produttiva.
In particolare devono essere sostenute e incentivate le esperienze di autorganizzazione della produzione e il recupero produttivo di imprese che multinazionali e “imprenditori” più o meno padani abbandonano o cercano di decentrare dove non siano rispettati i diritti dei lavoratori.
Questo significa anche che la Provincia – oltre a non avvalersi, per la fornitura di beni e servizi, di imprese che utilizzano contratti precari e non rispettano i diritti di cui sopra - favorisca la costituzione di cooperative (con un tetto massimo di associati) di lavoratori/trici e/o precari/e dei servizi, espulsi/e dalle normative nazionali vigenti, a cui affidare, sotto il controllo pubblico, appalti di lavori e servizi che l’Ente Pubblico non può fornire direttamente.

Vogliamo inoltre che la Provincia si contrapponga all'orientamento in atto che vede lo sviluppo dell'area metropolitana in "grandi eventi", fondati su progetti speculativi e iniziative effimere, animate da lavoro episodico, nero e precario, e da laute consulenze per pochi amici. Vogliamo invece un modello fondato su reali progetti di sviluppo concreto, capaci di generare lavoro stabile: il prestigio delle università, i grandi centri di ricerca, le produzioni di qualità, un'agricoltura moderna, l'eccellenza delle istituzioni culturali, il tessuto dell’autoproduzione, dell’autogestione sociale e culturale.

“Responsabilità sociale” e politica per l’Ente provinciale significa anche avere il coraggio di rompere collaborazioni economiche e politiche con soggetti che non rispettano i diritti umani e le norme internazionali. Uno dei primi provvedimenti che dovrà quindi prendere la nuova amministrazione sarà quello di chiudere l’accordo attualmente in vigore (per il quale vengono spesi decine di migliaia di euro ogni anno) tra la Provincia di Milano e il Matimop, ente di ricerca e di sviluppo del governo israeliano. Collaborazione sbagliata vista le continue violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi (fino ai veri e propri crimini di guerra di cui sono responsabili i dirigenti israeliani) e per l’ambiguità e scarsa trasparenza dei settori di ricerca coinvolti (anche nanotecnologie? e che implicazioni militari avranno?).


5. TRASPORTO PUBBLICO E COLLETTIVO
La Provincia in questi anni è stata in prima fila nella costruzione di finanziarie, holding, aziende di vario tipi finalizzate alla costruzione di nuove autostrade, in un territorio già fortemente inquinato e saturato dal traffico.
È necessaria una svolta radicale: una moratoria nella costruzione di autostrade, di mega- impianti di stoccaggio di containers, di stazioni di scambio intermodale, puntando invece allo sviluppo delle infrastrutture del trasporto collettivo. Non c’è bisogno di mega-progetti, ma di una razionalizzazione dell’esistente e di previsioni di percorsi preferenziali per il trasporto pubblico a partire da un effettivo potenziamento del servizio ferroviario regionale e dalla realizzazioni di moderni percorsi preferenziali e protetti per il trasporto pubblico di superficie e per la mobilità ciclabile..
Queste non possono più, infatti, affiancarsi al trasporto privato in crescita, ma devono essere alternative praticabili.
Al contrario, una rete di mezzi di superficie con linee moderne -interamente protette (cordoli, marciapiede rialzato, manto erboso dove possibile nel caso dei tram), semafori asserviti che danno il verde all’arrivo del tram, vero telecontrollo - permette di avere una velocità commerciale superiore o uguale a quella del metro nei tragitti brevi e medi con un decimo dei costi. Questo significa che, a parità di costi, si possono prevedere e rendere efficienti decine di linee (niente a che vedere con quelle che a Milano hanno chiamato “metrotranvie” che altro non sono che linee di tram parzialmente in corsia riservata, esattamente come si faceva già all'inizio del 900).
Nulla di rivoluzionario, comunque, visto che queste misure sono già operative e perfettamente funzionanti in molte altre città di tutto il mondo.

6. TERRITORIO
La maggioranza di centrosinistra non è stata in grado di approvare la revisione del Piano territoriale di coordinamento – mentre ha messo in pericolo la salvaguardia del Parco Agricolo Sud Milano.
È invece possibile e necessaria una “opzione zero” consumo del territorio attraverso la difesa rigorosa delle aree agricole, sostenendone lo sviluppo produttivo, e dei parchi.
La difesa territoriale deve essere il baricentro della politica provinciale, non le grandi opere infrastrutturali.

In questa direzione la Provincia deve rivedere e rifiutare la propria partecipazione a Expo2015, grande progetto di cementificazione e speculazione, rilanciando al suo posto un grande progetto di difesa degli spazi comuni e di recupero delle aree dismesse per l’edilizia sociale – partendo da un programma di requisizione degli alloggi sfitti per soddisfare i bisogni popolari e delle fasce più deboli del mercato degli affitti.
L’assessore Masseroli del Comune di Milano parla di 700 mila nuovi abitanti a Milano nei prossimi anni. Ma non dice che, se questo succedesse, la maggior parte di questi sarebbero migranti, insieme a giovani coppie (o single) e studenti fuori sede. A questi soggetti va data risposta; con questi soggetti si può costruire una città nuova, partecipata e abitabile.

7. RIFIUTARE GLI INCENERITORI
Ci siamo battuti con forza in questi anni contro la previsione di nuovi inceneritori, anche se in sostituzione o potenziamento di quelli esistenti. Il territorio provinciale, invece, potrebbe vedere la costruzione di nuovi inceneritori, nel nord e nel sud della provincia. Una scelta dovuta agli interessi delle società costruttrici e di gestione di questi impianti (come il CoRe di Sesto S.Giovanni, al quale non è indifferente Penati e il suo entourage), scelta ormai abbandonata nel resto d’Europa.
Obiettivo di un Piano rifiuti adeguato e rispettoso dell’ambiente e della salute di cittadine/i deve credere e praticare, non solo dichiarare, il programma dei “rifiuti zero”.
Questo significa insistere in primo luogo con politiche di riduzione della produzione dei rifiuti – attraverso una riconversione del modello produttivo e un controllo democratico su questa produzione.
Non semplicemente progetti di riduzione degli imballaggi (necessari), ma un ripensamento complessivo delle relazioni sociali ed economiche, perché è la logica capitalista e la ricerca del profitto a mettere in discussione il perseguimento della qualità sociale e ambientale.
Il secondo passaggio è quello del riciclo e della raccolta differenziata – e per questo bisogna darsi obiettivi allo stesso tempo credibili e ambiziosi. Ma Penati e Formigoni non l’hanno fatto, e nel Comune di Milano continua a essere ridicola la raccolta “sperimentale” dell’umido.
La provincia di Penati ha quindi scelto di partecipare al business degli inceneritori attraverso la sua creatura ASAM, perché fare inceneritori non serve sicuramente alle popolazioni o a risolvere la questione dei rifiuti, ma alle società che le gestiscono e agli amministratori che le ospitano.
Noi crediamo ad una politica di “rifiuti zero” che non deve allora essere parallela alla costruzione di inceneritori – contestati da importanti settori intellettuali e scientifici e da comitati popolari – ma deve invece essere alternativa e capace di rendere inutile la politica di costruzione dei forni.
Oltre alle raccolte differenziate, dovranno essere individuati e avviati specifici progetti di diffusione degli acquisti dei prodotti riciclati, coinvolgendo cittadinanza, scuole, aziende e pubblica amministrazione.


8. AGRICOLTURA E CONSUMO CRITICO
Contrariamente a quanto molti pensano, la provincia di Milano costituisce un'area di rilevante importanza per la produzione agricola e per l'allevamento. Il Parco agricolo Sud, benché in parte compromesso da inquinamento, cementificazione e alterazione dei corsi delle acque, superficiali e sotterranee, costituisce un ambiente produttivo per l'agricoltura tra i migliori del mondo ed è compito della Provincia progettarne la difesa e lo sviluppo sollecitando un’agricoltura fondata su produzioni biologiche (o per lo meno con il minor impiego di integranti chimici e difeso dalle aggressioni esterne inquinanti aria e acqua); su incentivazione della "filiera corta" (con l'eliminazione delle intermediazioni tra produttore e consumatore e lo sviluppo di contatti culturali e conoscitivi tra città e campagna); e a "Km zero" (riducendo al minimo la distanza fisica tra produzione e consumo in modo da diminuire l'incidenza dei trasporti che generano aumento di costi, consumo energetico e inquinamento).
La Provincia deve quindi sostenere la scelta per la qualità e la relazione diretta tra produttore e consumatore che si riassume nella formula della “filiera corta” – non con progetti spot e propagandistici (il pane a un Euro prodotto dalle grandi aziende sottocosto, ma di scarsa qualità…) – ma sviluppando la rete dei produttori, i mercati contadini, la produzione biologica e di qualità.
Allo stesso tempo deve incentivare la produzione biologica e la diffusione e difesa dei prodotti tipici, la creazione di aziende agrituristiche didattiche e la fidelizzazione dei consumatori
Spingere alla sensibilizzazione e al coinvolgimento delle associazioni di categoria nella scelta e nella applicazione di azioni volte all’implementazione dell’agricoltura biologica nel territorio, anche mediante incentivi e/o riconoscimenti a livello comunale.


9. SICUREZZA
Vogliamo una Provincia che non si accodi (o rilanci) alle politiche della “sicurezza” del centrodestra e che non sostenga in alcun modo la politica delle "ronde".
Nel paese i dati ufficiali diffusi dal Ministero dell’Interno dimostrano una diminuzione dei crimini sin dal secondo semestre dell’anno 2007.
Nell’anno 2008 gli omicidi volontari sono al minimo storico, i furti sono diminuiti del 39,72% rispetto all’anno precedente, le rapine del 28,8%, l’usura del 10,4%, la ricettazione del 31,6%, il riciclaggio del 5,8%, le minacce del 22,1%; diminuite anche estorsioni e danneggiamenti.
Sempre gli stessi dati ci dicono che anche i reati di violenza sessuale sono diminuiti: -8,4%. Non solo, la maggior parte degli “stupri” si consuma entro le mura domestiche: i dati relativi al 2007 ci dicono che il 69,7% è opera di partner, il 17,4% di un conoscente e solo il 6,2% è opera di estranei.
Sicurezza significa per noi presidio del territorio contro la speculazione, i reati ambientali, il lavoro nero e il mancato rispetto delle norme per la sicurezza dei lavoratori.
Sicurezza significa rivitalizzare e rendere vivibili e culturalmente vivi e partecipati i quartieri della metropoli e gli altri comuni garantendo servizi e collegamenti.
Sicurezza significa rispetto della libertà delle donne di compiere scelte autonome, indipendenti dalle autorità famigliari e maschili, contrastando la “cultura” della violenza e della sopraffazione.
Sicurezza significa garanzia dei diritti delle persone che costituiscono una priorità: la sicurezza del diritto al lavoro, alla casa, al reddito di cittadinanza che copra i periodi di non occupazione, del diritto alla salute e del diritto all’istruzione.

Sicurezza significa anche, o forse soprattutto, un’attenta opera di vigilanza e controllo nei confronti delle mafie che controllano parti importanti di settori produttivi e commerciali nella nostra provincia, e riescono a intercettare in diverso modo appalti o subappalti per lavori pubblici.
Molti magistrati hanno espresso la loro preoccupazione per il rischio che le opere in vista dell’Expo2015 rappresentino una grande opportunità per le mafie (soprattutto per la N’drangheta calabrese, particolarmente forte e capace in questo settore).
Non basta allora la trasparenza e il rispetto delle regole degli appalti, serve invece una mobilitazione della società civile accanto all’opera di prevenzione e controllo della Polizia provinciale, che non deve essere impiegata in altri compiti securitari.
E sicurezza significa rigido controllo di qualsiasi opera legata all’Expo2015 contro il lavoro nero e per la garanzia di applicazione delle norme per la sicurezza e la salute delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti.

10. MIGRANTI
La presenza di cittadine/i migranti nella nostra area metropolitana è una realtà con cui dobbiamo fare i conti, ed una risorsa importante per allargare l’orizzonte di tutte le politiche – dalla scuola alla cultura, dall’abitare al lavoro.
La Provincia che vogliamo non cerca nei Rom il capro espiatorio della crisi sociale o l’utile oggetto per una propaganda elettorale demagogica, ma è un ente che sviluppa progetti di solidarietà e partecipazione (vera!) delle e dei migranti, e politiche sociali generali per tutte e tutti. Non basta quindi la creazione di una Consulta degli stranieri (che comunque non è stata mai avviata), ma servono momenti di partecipazione e di possibilità di decisione delle e dei migranti.
Non servono per questo politiche particolari – a parte, appunto, quelle che favoriscono la partecipazione politica e culturali di migranti e nuove/i cittadine/i – ma la capacità di progettare tenendo conto di tutti i soggetti che abitano la nostra metropoli, in collaborazione con i comuni del territorio provinciale. In questo modo si evita di contrapporre i diritti e i bisogni di chi è già residente e di chi viene a vivere insieme a loro.
La Provincia dovrà dare seguito all’Ordine del giorno approvato dal Consiglio Provinciale nel gennaio 2006 che impegnava la Giunta a progettare e realizzare una “Casa del rifugiato”, per dare una risposta di accoglienza non temporanea e garantire i diritti di chi cerca in Italia un asilo per sfuggire da situazioni di guerra o da tragedie politiche.

11. CULTURA E SOCIALITA’
La creatività e l’innovazione artistica e culturale sono risorse del territorio, anche in termini di occupazione, e devono essere considerate con lo stesso peso con cui si trattano temi come “ricerca e sviluppo” quando si parla di aziende.
“Giovani e vecchi creativi di tutti i campi” vanno sostenuti e messi in condizione di lavorare, proprio come un’azienda si cura dei sui ricercatori. Dobbiamo decidere se vogliamo nella nostra provincia essere unicamente consumatori di prodotti fatti da altri e se siamo capaci (e le condizioni ci sono tutte) di produrre ed esportare.
Ma non ci sono solo i professionisti della cultura. La pratica di un’attività culturale “amatoriale”, proprio come una qualsiasi attività sportiva di base, arricchisce e contribuisce notevolmente ad aumentare la qualità della vita.
Riteniamo sbagliato e pericoloso ridurre tutto ad una questione di grandi eventi in cui buttare le poche risorse, riducendo il budget dedicato al sostegno del tessuto locale: in questo modo si desertifica, coscientemente o incoscientemente.
In particolare vanno sostenute e valorizzate le esperienze dei Centri Sociali Autogestiti, non per “regolarne” in qualche modo l’attività, ma per permetterne la stabilità e quindi la costruzione di progetti rivolti al territorio.

La Provincia deve mantenere e sviluppare i progetti di luoghi di aggregazione e di produzione culturale e politica di base come Centri giovani, Casa delle donne, Casa della Pace, Casa delle Culture.
In questi luoghi deve crescere il ruolo partecipativo e decisionale della società civile, accanto a quelle dell’ente pubblico.

12. PARI OPPORTUNITA’
Il ruolo della Consigliera di parità provinciale deve essere valorizzato, sviluppandolo e facendolo conoscere, promuovendolo tra lavoratori e lavoratrici, studenti e studentesse: questo perché le discriminazioni di genere, dai percorsi formativi ai luoghi di lavoro, sono sempre più frequenti, alimentate dalla “crisi” e da una cultura maschilista dilagante.
Anche per quanto riguarda la partecipazione delle donne alla politica, non si tratta di dare lezioni accademiche, ma di favorire le donne, le madri, lavorando sui tempi e sulle modalità della politica, affinché supportino il recupero di quote di rappresentanza di genere.

giovedì 1 gennaio 2009

PROPOSTA DI DELIBERA "ROM E SINTI"

PROPOSTA DI DELIBERA DI INIZIATIVA CONSILIARE
LINEE DI INDIRIZZO DEL CONSIGLIO PROVINCIALE DI MILANO
IN MATERIA DI POLITICHE PER L’INTEGRAZIONE SOCIALE
DELLE POPOLAZIONI “ROM E SINTI”
Presentata nel giugno 2008 dal gruppo di Sinistra Critica(mai arrivata alla discussione del Consiglio…)

Articolo 13
1) Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

2) Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

(Dichiarazione universale dei diritti umani)


PREMESSA
In queste “linee di indirizzo” viene utilizzato il termine “Rom e Sinti” per designare quelle popolazioni generalmente chiamate – in maniera non corretta – “nomadi” o, peggio ancora “zingari”. In realtà si tratta, come qualcuno l’ha definita, di una “galassia di minoranze”, di donne e uomini provenienti da diversi contesti nazionali e sociali e che riproducono una grande varietà sociale e culturale.

LA SITUAZIONE ATTUALE
In Italia si calcola siano presenti intorno ai 140.000/180.000 Rom e Sinti. La metà di loro è di nazionalità italiana. Questo già dovrebbe indurre ad evitare un parallelo troppo rigido tra politiche per i Rom e Sinti e politiche per l’immigrazione – perché il campo è allo stesso tempo più ampio e più limitato.
Certamente, oltre ad una presenza che risale a decenni per una parte di queste popolazioni provenienti da altri paesi e al fenomeno della fuga dai paesi della ex-Jugoslavia in guerra durante gli anni ’90, negli ultimi anni si è assistito a nuovi arrivi di Rom e Sinti non italiani, in particolare provenienti dai paesi dell’est europeo ora integrati nell’Unione Europea, specie dalla Romania. Anche per questi sarebbe comunque limitativo considerarli “semplicemente” come immigrati.

È comunque evidente che questi nuovi arrivi sono la conseguenza di grandi tendenze migratorie che interessano tutto il pianeta, dovute ad un intreccio inestricabile tra il richiamo dei paesi più ricchi (di cui evidentemente l’Italia fa parte) e la partenza da situazioni economiche difficili. Questo vale anche all’interno dell’Unione Europea: è infatti ovvio che l’integrazione dei paesi dell’est europeo non è stata motivata dalla volontà di creare una “cittadinanza europea” ma dalle necessità del capitale e degli interessi economici di consolidare uno spazio di libera circolazione del capitale e delle merci, nonché delle imprese e degli imprenditori. È sufficiente qui ricordare la cosiddetta “Direttiva Bolkestein” sulla liberalizzazione dei servizi del mercato interno.
Questo ha provocato nuovi flussi di lavoratrici e lavoratori: come diceva un saggio “volevamo braccia, sono arrivati uomini”, ma questo sembra ancora non essere compreso da molti.
Il risultato è comunque quello dell’aumento del movimento di donne e uomini, dall’esterno e all’interno dell’Unione Europea, sia per scelta che per “costrizione” economico-sociale (e politica, vista le persistenti violazioni dei diritti umani anche in Europa).
Le popolazioni Rom e Sinti di nuova immigrazione – appartenente ad una minoranza fortemente discriminata in Europa - fanno parte di questi flussi.

Non c’è un dato preciso di quanti siano in Italia e in Lombardia le donne e gli uomini Rom e Sinti – e probabilmente non è questo il problema principale, non essendo possibile una “programmazione” dei flussi, soprattutto in ambito europeo, e perché le politiche sociali possono esplicarsi senza necessariamente basarsi su rigidi censimenti statistici. In ogni caso le ricerche più recenti parlano di 150.000 circa in Italia; 13/14 mila in Lombardia; 9/10 mila in provincia di Milano.
Il problema principale e più evidente è quello relativo alla condizione abitativa: se esistono Rom e Sinti che vivono in case monofamiliari, la maggior parte si divide tra insediamenti collettivi (“campi”) sia autorizzati che abusivi o in insediamenti sorti su terreni presi in affitto o comperati.
Le politiche delle amministrazioni locali hanno in questi anni privilegiato, se non utilizzato esclusivamente, il modello del “campo”, spesso motivandolo come “espressione culturale” degli stessi Rom e Sinti, loro scelta e predilezione. Come si legge nella Ricerca sugli insediamenti rom e sinti in Lombardia (2007) dell’Ismu “’I campi nomadi occupano un ruolo centrale nella gestione del problema. In quanto luoghi di controllo sociale, ma anche di smistamento della carità istituzionale e non, essi mantengono e salvaguardano i confini, evitano l’incontro, tengono gli zingari in un nessun luogo che in ultima analisi consente il mantenimento dello status quo’ (Sigona). I campi, oltre a controllare e a mantenere ai margini i cosiddetti nomadi, rappresentano uno strumento di assimilazione, che tende a “normalizzare” le popolazioni previamente definite come itineranti, costringendole in condizioni di precarietà e di degrado, a causa del crescente affollamento, della carente manutenzione, dei difficili rapporti con le società locali.
Accanto a essi, si sono sviluppate, spesso spontaneamente, altre soluzioni abitative, in genere all’insegno della provvisorietà o anche dell’abusivismo: parcheggio di roulottes in terreni di proprietà, costruzioni spontanee, insedia-menti non autorizzati su aree pubbliche, ecc. Anche quando queste pratiche riescono a evolvere verso costruzioni stabili e dignitose, devono fare i conti con il problema delle licenze edilizie e con quello dell’ostilità dei vicini, ben-ché si tratti di zone agricole distanti da altre abitazioni. Le condizioni insedia-tive, con le loro prevalenti caratteristiche di precarietà, determinano in ogni caso in modo decisivo le opportunità di vita in generale e la possibilità di per-corsi lavorativi, di tutela della salute, di inserimento scolastico, di accesso ai servizi”.

Conseguentemente a questo, come si legge nella stessa ricerca, assistiamo ad un “rapporto apparentemente distorto con il sistema del welfare e dei diritti sociali. Per esempio, accade che la scolarizzazione dei figli non sia avvertita come un valore in sé, ma che possa essere apprezzata come una risorsa da scambiare per conseguire un vantaggio per l’intera famiglia… Anche la cura della salute, compresa quella delle madri incinte e dei neonati, se comporta dei costi, è mal compresa, trascurata, spesso percepita come una spesa di cui fare a meno o da cui stare distanti per motivi scaramantici. Questi atteggiamenti rimandano altresì a una radicata diffidenza nei confronti della società maggioritaria, speculare al pregiudizio delle popolazioni stanziali nei confronti dei veri o presunti “nomadi”: “gli zingari si rivolgono ai gagé se hanno domande e bisogni precisi, ma senza avere mai una completa fiducia del non zingaro” (Santoro)”.

Infine, anche se si dovrebbero affrontare altri campi - come quello della socialità, della partecipazione politica, del rispetto delle espressioni culturali – è evidentemente complicata la situazione lavorativa. Prendendo ancora in prestito la ricerca coordinata dall’Ismu si può segnale che “Più che di distanza volontaria dal lavoro e di propensione “naturale” verso le attività illegali, sarebbe più appropriato dunque parlare di una difficile riconversione e di un adattamento problematico ai ritmi e alle regole della società industriale e post-industriale.
In questa cornice strutturale, si inseriscono poi almeno due fattori di diffi-coltà più specifici: la mancanza di documenti che autorizzino soggiorno e la-voro, per i rom arrivati di recente dall’area balcanica, e il pregiudizio che le società sedentarie nutrono nei confronti dei cosiddetti “nomadi”. Come riferisce lo studio di caso di via Novara, anche datori di lavoro bisognosi di mano-dopera, quando vedono che i candidati provengono da un “campo nomadi”, ritirano precipitosamente l’offerta. Lo stesso studio sottolinea che i medesimi protagonisti evitano di definirsi come rom…. Nonostante questo quadro avverso, molti rom in vario modo lavorano o cercano lavoro…. Nel campo di via Novara, 25 maschi adulti su 60 lavorano, anche se perlopiù in forme precarie, presso cooperative o agenzie che li chiamano a seconda delle esigenze. Altri lavorano in modo irregolare o in forme autonome. Tra i giovani, incontra una buona ricezione la proposta delle borse-lavoro, e si fa strada l’idea del lavoro dipendente. Da qualche tempo, anche alcune donne hanno iniziato a lavorare: chi come accompagnatrice sul servizio di trasporto per gli alunni milanesi, chi come addetta alle pulizie nelle parti comuni di condomini o di alberghi…”.

Questa breve e parziale descrizione della situazione sociale delle popolazione Rom e Sinti, valida per lo specifico della provincia di Milano, ci serve per arrivare ad una conclusione fondamentale per cominciare ad affrontare il nodo delle politiche “per Rom e Sinti”. Non esiste una generalizzazione possibile ne una politica valida in ogni luogo e in ogni situazione; tantomeno – come spesso sono portate a credere le amministrazioni pubbliche – si può parlare di un fenomeno “intrattabile” e quindi da sottoporre solamente a politiche di controllo e “normalizzazione”. Al contrario Rom e Sinti, oltre a essere soggetti esposti ad una crescente povertà e a condizioni di vita intollerabili per la nostra società, esprimono una soggettività e una capacità di mettere in gioco risorse che è fondamentale attivare affinché le politiche sociali nei loro confronti non siano destinate all’inefficacia e al fallimento.

POLITICHE LOCALI E ROM
Guardando alle principali ricerche condotte sulle politiche in Italia in confronti delle popolazioni Rom e Sinti, dei governi nazionali e soprattutto delle amministrazioni locali, praticamente tutte arrivano alla conclusione di una sostanziale inefficacia e molte sottolineano i risultati negativi in termini di creazione del “problema Rom” e di un approfondimento dell’esclusione sociale e della mancata integrazione proprio a causa di queste politiche.
La maggior parte delle amministrazioni locali ha messo in campo negli anni politiche differenziali, basate su principi emergenziali e discriminatori e sull’idea della intrattabilità politica e amministrativa della questione, naturalmente a causa delle caratteristiche soggettive degli stessi Rom e Sinti.
Secondo le stesse organizzazioni internazionali di tutela dei diritti umani, sono molte le discriminazioni che questi subiscono anche in Italia: in particolare discriminazioni nell’abitazione e nell’accesso al lavoro; violenze e intimidazioni di gruppi o individui; comportamento “non professionale” da parte della polizia; un apparato della giustizia spesso poco pronto a intervenire di fronte a vio-lazioni dei diritti umani dei rom; e così via.

È la premessa stessa che porta a queste discriminazioni. Come si può leggere nell’ultimo rapporto dell’Ismu “una volta che questi gruppi sono stati definiti come pericolosi, non si trovano più residenti disposti ad averli come vicini di casa, neppure ai margini del quartiere, e gli insediamenti collettivi diventano ancora più
segregati e difficili da realizzare, lasciando di fatto altro spazio agli insediamenti abusivi. Le ripetute demolizioni di questi ultimi compromettono inoltre i tentativi di integrazione e di tutela sociale, anche sotto il profi lo dei diritti umani basilari, aggravando la marginalità delle persone e dei gruppi sociali che li subiscono. La spirale dell’esclusione rischia di diventare inarrestabile”.
Si produce nei confronti di Rom e Sinti un processo di “stigmatizzazione” politica e sociale che rende – oltre che impopolare – difficile progettare e persino discutere politiche di sostegno a Rom e Sinti stessi.

In questo senso, come scrivevamo più sopra, la prova più evidente del fallimento delle politiche in materia è quella della costituzione dei “campi nomadi”, che costringono Rom e Sinti in condizioni di abitazione intollerabili e “innaturali”. Le stesse amministrazioni hanno tollerato, e a volte programmato, situazioni di abitabilità che non sarebbero risultate accettabili per altre persone, ma che potevano invece valere per Rom e Sinti, in quanto “predisposti” ad accettarle e comunque sarebbe stato “impossibile” in maniera pubblica trovare altre soluzioni.
Oggi l’intollerabilità dei campi – legali e abusivi - è chiara a chiunque. Purtroppo la responsabilità di questa intollerabilità è scaricata sugli stessi Rom e Sinti e il “superamento dei campi” significa troppo spesso la loro chiusura senza soluzioni e politiche alternative.

LINEE GENERALI DI INDIRIZZO POLITICO
Di fronte a quanto, brevemente e in maniera parziale, descritto, risulta evidente che non si possa pensare ad un “modello” e nemmeno ad un complesso di politiche di sostegno alle popolazioni Rom e Sinti che da una parte non sia integrato e portato avanti da una rete di soggetti e dall’altra non sia pensato all’interno delle più complessive politiche sociali e di contrasto alle povertà, vecchie e nuove.

1. le politiche di sostegno e integrazione delle popolazioni Rom e Sinti devono essere pensate come una parte, ineludibile, delle politiche sociali dell’amministrazione provinciale (e delle altre istituzioni pubbliche) e finalizzate ad un’integrazione “positiva” – non quindi ad una sorta di “assimilazione” ma di convivenza reciprocamente soddisfacente tra popolazioni diverse. Infatti, nei paesi nei quali esistono organiche politiche di sostegno verso individui e famiglie in condizione di povertà (salario minimo di cittadinanza, sussidi di disoccupazione ecc.), il caso delle minoranze Rom e Sinti riduce il suo carico di “eccezionalità” e diventa “solamente” il caso particolare di un contesto più ampio, nel quale perdono di importanza le “misure particolari”;

2. questo complesso di politiche – perché sia efficace – ha bisogno di essere messo in pratica da una rete di soggetti, pubblici, del privato sociale e del mondo dell’economia. Questo evitando quelle che sono state definite correttamente “deleghe improprie”, per cui si scaricherebbe sul privato sociale quanto l’ente pubblico non vuole fare (o vuole tenere “sottotraccia”).
Un approccio a rete presuppone la disponibilità ad una programmazione condivisa, la necessità di un’efficace e efficiente divisione dei compiti, la capacità di lavoro comune e di uscita dall’emergenza;

3. perché le politiche non siano destinate al fallimento è di particolare importanza coinvolgere Rom e Sinti nella progettazione e nella costruzione delle stesse. Rom e Sinti non possono cioè essere gli “oggetti” di politiche assistenziali, più o meno positive, ma interlocutori e soggetti delle politiche e del loro percorso di integrazione sociale e convivenza.

Per quanto riguarda i campi principali nei quali programmare e mettere in campo politiche positive, l’indirizzo del Consiglio Provinciale riguarda:

• in primo luogo il tema dell’abitare, attraverso il sostegno al diritto e alla capacità dell’abitare stesso. Uscire dalla logica dei campi non deve indurre all’identificazione di un altro “modello” (perché a nessuno può essere assegnata una “formula” specifica dell’abitare) ma alla sperimentazione di diverse soluzioni, che non costituiscano un “circuito separato” (e marginale) ma possano soddisfare allo stesso tempo le diverse esigenze delle popolazioni Rom e Sinti – costituendo una libertà di scelta anche introducendo principi di autonomia e di responsabilità degli abitanti nella produzione e nella gestione delle strutture - e la necessità di evitare insediamenti non integrabili nel contesto sociale e territoriale esistente. Se non si affronta in maniera adeguata il tema dell’abitare è evidente che anche le altre politiche risulteranno fallimentari;

• di fondamentale importanza l’investimento sulla scolarizzazione e la permanenza nelle scuole, a partire da quelle dell’obbligo, delle bambine e dei bambini Rom e Sinti. Esistono al riguardo esperienze importanti e positive, anche nella provincia di Milano, che devono essere diffuse. Per questo deve essere resa possibile la stabilità dei percorsi formativi e devono essere coinvolte e rese responsabili le famiglie Rom e Sinti. Le amministrazioni locali possono giocare un ruolo importante in questi percorsi e nella loro stabilizzazione, fornendo un supporto alla mediazione culturale (con i bambini e con le loro famiglie) e alla frequenza costante (trasporto, sostegno scolastico ecc.);

• per garantire inclusione sociale è ovviamente determinante anche il tema dell’accesso al lavoro e alla formazione professionale. Per questo sono importanti strutture e progetti di accompagnamento ai servizi per l’impiego e alle molte esperienze esistenti (borse-lavoro, tirocini, sostegno alle cooperative ecc.). Particolarmente importante sostenere attività lavorative che portino Rom e Sinti a uscire dai “campi” e sostenere percorsi di emersione dal lavoro nero e di tutela delle garanzie contrattuali;

• infine, ma non di minore importanza, è necessario un forte investimento sulla socialità e sul superamento di quanto è stato definito “rifiuto del contatto” o “simmetria dei pregiudizi”. Senza banalizzazioni folkloristiche, va dato spazio all’incontro culturale nei quartieri, in particolare tra le generazioni più giovani. È necessaria una forte attività di informazione e di formazione alla convivenza, coinvolgendo sia i gruppi Rom e Sinti che le risorse esistenti sul territorio (associazioni culturali e di volontariato, parrocchie, consigli di quartiere ecc.). In questo quadro deve essere fatto ogni sforzo per combattere ogni fenomeno di discriminazione e razzismo – anche istituzionale – con un’attenta opera di vigilanza e di lavoro culturale.

L’IMPEGNO DELLA PROVINCIA DI MILANO
Per favorire il lavoro della rete di cui ai punti precedenti, e per superare l’approccio “emergenziale” (affidato dal governo al Prefetto di Milano quale “Commissario straordinario per l’emergenza Rom”) in direzione di politiche coordinate, il Consiglio Provinciale di Milano impegna la Giunta ad un lavoro secondo i seguenti indirizzi politici:

1. coordinamento e sostegno delle politiche degli enti locali – proponendo loro la firma di un “Protocollo d’intesa” (come già previsto in precedenza da questo stesso Consiglio Provinciale) in particolare in materia di abitazione, ma anche di politiche sociali complessive, in vista della costruzione del “Piano metropolitano di interventi di inclusione e di nuovi insediamenti”: Piano che deve essere proposto nei prossimi mesi dalla Giunta, per discuterlo con il Consiglio e poi con i comuni del territorio provinciale;

2. impegno a ricercare e attivare tutte le possibili fonti di finanziamento (dell’Unione Europea, statali, regionali) per sostenere le politiche a favore delle popolazioni Rom e Sinti. Il Consiglio impegna la Giunta a utilizzare al proposito anche il “Fondo per l’inclusione sociale” approvato con il Bilancio preventivo 2008;

3. ri-convocazione e ri-attivazione permanente, da parte dell’Assessorato alle politiche sociali, del “Tavolo programmatico” per le azioni in materia, con la presenza di rappresentanti dei comuni, dell’associazionismo del terzo settore e delle associazioni Rom e Sinti;

4. nell’ottica del “superamento dei campi” e della “riorganizzazione nel territorio milanese” (secondo quanto dichiarato dal Presidente Penati) – sostegno alla progettazione e alla realizzazione di soluzioni abitative diversificate, di esperienze di autocostruzione, di accesso all’abitazione (sociale e privata);

5. progetti di accompagnamento all’accesso dei servizi per l’impiego e per la Formazione Professionale. In particolare si impegna l’Agenzia per il Lavoro,l’Orientamento e la Formazione Professionale a svilupare uno studio per indirizzare i suoi servizi alla popolazione Rom e Sinti, per facilitare l’accesso agli stessi e sostenere percorsi di stabilizzazione ed emersione del lavoro sommerso;

6. supporto ai comuni della provincia affinché prevedano servizi di accompagnamento e facilitazione all’inserimento scolastico e alla stabilizzazione dei percorsi formativi per le bambine e i bambini Rom e Sinti – in particolare attraverso figure di sostegno e mediazione culturale e servizi di avvicinamento (servizio di trasporto scolastico e non solo);

7. impegno della Giunta, anche attraverso la costituenda “Casa della culture”, alla progettazione e realizzazione di interventi nei comuni e nei quartieri della città di Milano che siano indirizzati a sconfiggere il “rifiuto del contatto” e possano avvicinare popolazioni e individui differenti, per contribuire ad una colutra della convivenza.

8. impegno a denunciare e perseguire ogni forma di discriminazione e razzismo, assistendo il lavoro delle organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani (e in particolare il lavoro dell’”European Roma Rights Centre”);

9. riattivazione della protezione civile per il sostegno a persone (anche Rom e Sinti) che si trovano in stato di particolare disagio abitativo o economico-sociale, anche per permettere l’emersione del fenomeno degli insediamenti abusivi evitando la spirale degli sgomberi inutili, dannosi e disumani.